Controsenso 29.6.2013 – III Parte del 2° Rapporto
Continuazione del precedente articolo del 22 giugno 2013
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I LUCANI SULLA CATASTROFE ALL’UNICREDIT
III Parte 2013 – Michele De Bonis per i soci dell’ex Banca Mediterranea
interviene nell’assemblea dopo Vittorio Brienza e Gianpaolo Di Lucchio
Nei due precedenti numeri del 15 e 22 giugno 2013 Controsenso ha dato notizia sulla posizione assunta l’11 maggio 2013 a Roma nell’assemblea di bilancio di Unicredit dai soci del gruppo di minoranza proveniente dall’ex controllata Banca Mediterranea ed impegnato da oltre dodici anni in una complessa vertenza per ottenere il risarcimento dei danni patiti dall’ “ingiusta” incorporazione di Mediterranea, varata a maggioranza nell’aprile 2000 a Potenza soltanto per il voto determinante espresso dall’allora controllante Banca di Roma/Capitalia, poi confluita nel 2007 in Unicredit, il primo gruppo bancario italiano. I soci risparmiatori dell’ex Banca Mediterranea, al fine di tutelare i propri interessi e le proprie posizioni non ancora definite, sono stati costretti a seguire le attività ed evoluzioni della banca che aveva incorporato Mediterranea, partecipando dal 2000 al 2013 alle 26 assemblee di Banca di Roma/Capitalia ed Unicredit, soggetto responsabile del risarcimento dei danni prodotti alla minoranza dalla contestata fusione per incorporazione.
Così anche quest’anno la minoranza dell’ex Banca Mediterranea è stata costretta a svolgere un difficile e duro lavoro, analizzando soprattutto i volumi del bilancio individuale della società capogruppo Unicredit spa di 305 pagine e del bilancio consolidato del Gruppo Unicredit di 509 pagine, che costituisce una sintetica astrazione contabile delle attività di tutte le (767) società della galassia Unicredit e che è stato redatto in base alle normative dei (22) Paesi dove si opera. E anche questa volta il gruppo dei soci dell’ex Banca Mediterranea si è dovuto districare tra centinaia di tabelle e grafi ci e tra migliaia di dati, molti dei quali non essenziali ed altri chiaramente inutili, come asserito in diverse assemblee dai lucani: classico caso in cui troppe informazioni possono equivalere a nessuna informazione.
Come già riportato nei precedenti numeri di Controsenso, le notizie sono state acquisite dalla recente pubblicazione del verbale ufficiale dell’assemblea degli azionisti Unicredit che l’11 maggio 2013 ha registrato, rispetto ai circa 467.000 soci effettivi, la presenza di solo 43 soggetti votanti in proprio e per delega, a conferma del bassissimo indice percentuale 0,00009% di partecipazione assembleare.
Nell’esercizio 2012 Unicredit, tramite sostanziali meccanismi fiscali di recupero di imposte, è riuscita ha conseguire l’utile netto di 865 milioni di euro: un risultato di gestione diverso dalla colossale perdita di 9,2 miliardi di euro del precedente bilancio 2011 e comunque ancora inferiore all’utile netto di 1,3 miliardi di euro dell’esercizio 2010, quando si insediava in Unicredit l’attuale Amministratore Delegato Federico Ghizzoni. L’assemblea ha anche deliberato uno scarno dividendo di 9 centesimi di euro per ogni singola azione, che si riduce a 9 millesimi di euro per azione, se si considera il valore del titolo enormemente ribassato a seguito dell’accorpamento di 10 azioni Unicredit in una sola, come disposto a dicembre 2011 dagli Organi e Responsabili della Banca.
Tra i 43 partecipanti all’assemblea romana di Unicredit vi hanno preso parte anche i lucani Elman Rosania, Michele De Bonis, Vittorio Brienza, Gianpaolo Di Lucchio ed Alfredo Sonnessa, che insieme ad altri 10 partecipanti aventi diritto al voto in proprio e per delega (detentori di piccola quota di capitale) hanno votato contro il bilancio 2012 di Unicredit, approvato comunque dal 99,6% del capitale sociale presente in assemblea, pari al 52,7% del capitale effettivo.
Subito dopo gli interventi di Vittorio Brienza e Gianpaolo Di Lucchio trattati nei due precedenti numeri di Controsenso, che hanno tra l’altro evidenziato «una vera catastrofe per i soci risparmiatori di Unicredit» a causa della colossale e smisurata perdita del 93% di valore del titolo Unicredit negli ultimi cinque anni, ha preso la parola nell’assemblea Michele De Bonis (pagine 101-108 verbale).
Proseguendo le analisi svolte da Brienza e Di Lucchio, De Bonis ha affermato che le banche concorrono a determinare le crisi economico-finanziarie anche quando enfatizzano l’attività finanziaria a discapito di quella creditizia, con lo stabile e cospicuo investimento in titoli di Stato, facilitato dalle anticipazioni della Banca Centrale Europea a basso costo (con conseguente possibilità di lucro sul differenziale di interessi). Tale investimento riguarda Unicredit per 93,7 miliardi di euro, il cui 90% è concentrato nei seguenti otto Stati Sovrani: Italia per 40,7 miliardi di euro, Germania per 20,6 miliardi di euro, Polonia per 8,6 miliardi di euro, Austria per 4,6 miliardi di euro, Turchia per 3,5 miliardi di euro, Repubblica Ceca per 2,5 miliardi di euro, Spagna per 1,4 miliardi di euro e Ungheria per 1,3 miliardi di euro. Nel ritenere che qualche miliardo in meno di titoli di Stato e qualche miliardo in più in operazioni di credito avrebbe sicuramente giovato ad imprese e famiglie italiane, De Bonis ha rilevato che «nell’interbancario Unicredit è prenditrice netta di fondi con sbilancio tra crediti e debiti verso banche di 42,9 miliardi di euro al 31 dicembre 2012 ed è finanziata anche per l’acquisto di titoli di Stato: i debiti verso Banche Centrali, nascenti verosimilmente da questa causale, ammontano a 36,3 miliardi di euro».
Secondo De Bonis poi le banche concorrono a determinare le crisi economico-finanziarie pure quando cercano di compensare la perdita di redditività sulle operazioni di credito con attività di finanza speculativa ad alto rischio, tra cui vi sono gli strumenti derivati sia di copertura che finanziari/speculativi.
A questo punto è utile rammentare che il cd. “contratto derivato” nasce originariamente nel settore agricolo, quale strumento assicurativo di copertura dei rischi sulle variazioni di mercato dei prodotti agricoli e nel tempo viene esteso dapprima ai settori del commercio e dell’industria per coprire i rischi di mercato delle merci (metalli, preziosi, ecc.) e poi in ultimo al settore bancario e finanziario per assicurare i rischi su cambi delle monete e su tassi. Successivamente però il contratto derivato viene snaturato nella sua funzione originaria di strumento di copertura per essere sempre più utilizzato dalle banche, Unicredit in primis, quale mero strumento speculativo, che in teoria consente di guadagnare molto ma anche di far perdere moltissimo. E tuttora diverse banche, come Unicredit, si comportano in sostanza come quel giocatore che, dopo aver perso molto, aumenta l’azzardo e le puntate sperando di rifarsi.
Del resto la pericolosità dell’uso di tale strumento finanziario è provata dal rimborso di 2,6 miliardi di euro riconosciuto nel 2012 alla banca d’affari americana Morgan Stanley dal Governo Italiano presieduto da Mario Monti per coprire la perdita su un derivato cd. speculativo, nonché dalla recente indiscrezione del quotidiano “La Repubblica” in merito ad un rapporto della Corte dei Conti su operazioni in derivati fatte dal Tesoro negli anni ’90 e ristrutturate nel 2011, sulle quali sarebbe maturata al 2013 una perdita dello Stato Italiano di 8,1 miliardi di euro rispetto al nozionale di 31,1 miliardi di euro. E sul punto in ultimo può avere un significato l’essere passato sotto silenzio il fatto che taluni Ministri o Capi di Governo della Repubblica dopo il loro mandato abbiano assunto ruoli di consulenza nelle stesse banche d’affari americane od europee (Goldman Sachs, Morgan Stanley, Deutsche Bank), sovente controparti di enti pubblici in operazioni su derivati.
Ciò detto, dal bilancio 2012 si rileva che i derivati di copertura di Unicredit (contratti del tipo polizza assicurativa che coprono i rischi di eventi sfavorevoli e non previsti del mercato) dal versante dell’attivo ammontano nel 2012 soltanto «a 17,6 miliardi di euro per valori nozionali di 190,1miliardi di euro, mentre nel 2011 erano 13,6 miliardi di euro per inferiori valori nozionali di 107,6 miliardi di euro». Dal lato del passivo gli stessi derivati di copertura «ammontano nel 2012 a 14,5 miliardi di euro per valori nozionali di 140,1 miliardi di euro mentre nel 2011 erano 11,9 miliardi di euro per minori valori nozionali di 101,8 miliardi di euro. Il risultato netto dell’attività dei detti derivati è stato negativo per 133,7 milioni di euro nel 2012 rispetto a quello positivo di 105,8 milioni di euro nel 2011».
Invece l’altra tipologia dei derivati speculativi-finanziari (contratti di vere e proprie scommesse, cd. anche OTC Over The Country, cioè fuori dai mercati regolamentati) ammonta per l’attivo a «complessivi 81,8 miliardi di euro nel 2012 mentre erano 90,4 miliardi di euro nel 2011, a fronte di valori nozionali delle scommesse di 1.747 miliardi di euro, di cui 27,6 miliardi di euro con clientela»; dal lato del passivo questi derivati finanziari/speculativi sommano «83 miliardi di euro nel 2012 rispetto a 92 miliardi di euro nel 2011 con valori nozionali di 1.497 miliardi di euro nel 2012, di cui 23,2 miliardi di euro con clientela per nozionali di 628,3 miliardi di euro. Il risultato economico dei citati derivati finanziari espone un profitto netto di 805 milioni di euro al 31 dicembre 2012». Ad ogni modo il “valore complessivo delle scommesse” (cd. nozionale dei flussi attivi e passivi) dei derivati speculativi di Unicredit assurge all’impensabile e stupefacente somma di 3.292 miliardi di euro tra attività e passività finanziarie di tutti i contratti; senza tralasciare che «il 36% circa dei contratti in derivati ha vita residua da oltre un anno e fino a cinque anni, mentre il 26% circa degli stessi contratti ha durata residua superiore a cinque anni» (cfr. bilancio consolidato del Gruppo Unicredit, pagina 412 tabella A.9 “Vita residua dei contratti derivati speculativi OTC “over the Country”: valori nozionali). In virtù di ciò De Bonis ha chiesto ai vertici di Unicredit quali potranno essere, in positivo o negativo, le conseguenze dei contratti dei derivati speculativi finanziari sul piano economico e della liquidità nel futuro della Banca. Inoltre nell’esprimere ulteriore perplessità sulle operazioni in derivati speculativi tra banche dello stesso Gruppo Unicredit di somme importanti superiori a 7 miliardi di euro, che riguardano tra l’altro la Capogruppo Unicredit spa con sede a Roma e le sue controllate al 100% Unicredit Bank AG di Monaco di Baviera in Germania ed Unicredit Bank Ireland PLC di Dublino in Irlanda, De Bonis ha domandato ai vertici di Unicredit «quale opportunità, necessità e convenienza si può riscontrare in operazioni di strumenti derivati finanziari quando effettuate nell’ambito di società controllate del Gruppo».
Passando ad altro argomento il componente del gruppo di minoranza dell’ex controllata Banca Mediterranea ha poi accennato al Conto Partecipazioni che, tra i titoli di capitale valutati al costo, ha iscritto la partecipazione di Unicredit nella Banca d’Italia per 284,5 milioni di euro. Egli ha chiesto ai vertici di Unicredit le ragioni del cambio di appostazione di detto asset rispetto al precedente esercizio 2011 (da conto Partecipazioni a Titoli disponibili per la vendita), quando lo stesso asset figurava nelle «Partecipazioni rilevanti del bilancio consolidato di cui all’articolo 125 Regolamento Consob n.11971/1999 con una percentuale di possesso di Unicredit del 22,11% del capitale sociale della Banca d’Italia e con una uguale percentuale di diritto al voto»; e comunque ha chiesto le ragioni della mancata enunciazione nel bilancio consolidato di tali titoli, di cui peraltro non sono note intenzioni di vendita. Richiamando l’articolo 9 dello statuto della Banca d’Italia che limita il diritto al voto dei Partecipanti a non più di 50 voti ciascuno, quali che siano le quote possedute, De Bonis ha chiesto spiegazioni sulla apparente non giustificata contabilizzazione al costo della partecipazione detenuta da Unicredit in Banca d’Italia «sia perché il dato rifletterebbe transazioni nella gran parte assai remote, sia perché vi è grande distanza tra il costo della partecipazione ed un accettabile fair value al patrimonio netto».
Subito dopo l’intervento di Michele De Bonis i contributi assembleari offerti dalla compagine minoritaria lucana sono stati chiusi da Elman Rosania (l’azionista di minoranza dell’ex Banca Mediterranea da oltre dodici anni alla guida del gruppo minoritario nella complessa vertenza risarcitoria contro Banca di Roma/Capitalia ed Unicredit), di cui il giornale darà notizia nei prossimi numeri, insieme alle risposte fornite dall’Amministratore Delegato di Unicredit Federico Ghizzoni. Queste risposte comunque sono state ritenute del tutto insoddisfacenti dai lucani in sede di replica (pagine 164-166 verbale) ed in merito al solo intervento di De Bonis innanzi illustrato, si preannuncia, esse hanno riguardato: gli investimenti in titoli di Stato, l’esposizione in derivati finanziari e loro conseguenze economico/finanziarie e di liquidità anche con riferimento ad esposizioni infra-gruppo, la partecipazione societaria nel capitale della Banca d’Italia (pagine 155-158 verbale).
Il 2° Rapporto di Controsenso continua nell’articolo del 6 luglio 2013